L’obiettivo non è l’algoritmo. È il dato
Scambiare l’IA per oracolo è un abbaglio colossale.
L’IA fornisce potenza. Peccato che la difesa strategica nasce altrove. Nella proprietà e nel controllo delle informazioni.
Faccio qualche riflessione a partire dalla preziosa newsletter di Stefano Gatti che ha giusto citato il sempre stimolante Abraham Thomas.
La regola è ferrea. Chi controlla il flusso, controlla il mercato.
Qualche esempio:
Esclusività contrattuale (IQVIA)
Give-to-Get (Glassdoor)
Creazione diretta (Nielsen panel)
Ogni scenario richiede un controllo legale o incentivi asimmetrici. Senza, il vantaggio competitivo letteralmente evapora.
Tre leve per costruire il proprio “data moat”
1. Unicità
Dataset unico, insostituibile
Sistemi di gestione perfettamente contestualizzati
Antifragilità guidata dai datiStandard di riferimento
2. Loop di utilizzo
Ogni transazione (interna o esterna) deve alimentare il modello, il modello genera valore, il valore richiama transazioni
Effetto volano: accelerazione esponenziale o implosione rapida. Dipende solo dall’organizzazione
3. Standard di riferimento
Essere una “chiave primaria” del proprio settore
Quando gli altri pagano un pedaggio al tuo sistema, il margine diventa struttura, la crescita esponenziale
Errori letali
Confondere quantità con significato
Trascurare la migrazione di dati integrati
Call to action
Il mio dataset possiede un delta di valore potenziale rispetto ai miei competitor?
Ho costruito un circuito di feedback che rende la mia proposta inimitabile?
Quale tassello informativo, se standardizzato, costringerebbe il mercato a bussare alla mia porta?
Se la risposta è “non ancora”, il data “moat” è asciutto.
Riempilo prima che lo faccia il tuo concorrente.